Carlo Cracco: noi siamo quello che mangiamo

Io credo che l’Expo possa servire a portare all’attenzione di tutti l’importanza dell’alimentazione. Che è un problema serio. Un problema culturale.

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Lo Chef Carlo Cracco

di Carlo Annovazzi da Repubblica.it Milano/

Carlo Cracco, lei è un grande chef, il tema portante dell’Expo è l’alimentazione. Che cosa si aspetta?
«Una svolta».
In che senso?
«Io credo che l’Expo possa servire a portare all’attenzione di tutti l’importanza dell’alimentazione. Che è un problema serio. Un problema culturale. E quale manifestazione migliore di un’Expo può far emergere problemi e, magari, indicare soluzioni? ».

 Cultura è una parola che di solito si associa a letteratura, teatro, musica, arte…
«Ed è un errore che rischiamo di pagare duramente. Il cibo è cultura. Noi siamo quello che mangiamo. Per evitare guai, dobbiamo essere preparati».

 Per questo ci siete voi chef.
«No, noi siamo una minima parte del tutto. Siamo narcisi, snob. Arrivo addirittura a dire che noi facciamo spettacolo, sublimiamo le esperienze sensoriali, creiamo piatti per far godere la gente. Ma ci fermiamo lì. La cultura dell’alimentazione è un compito che dovrebbe spettare allo Stato».

 Dovrebbe?
«Sì. Bisogna partire dal basso, dai bambini. È il primo gradino per far sì che la nostra cultura, le nostre tradizioni non vengano disperse. Lo vedo nella mensa scolastica di mia figlia: lei e tanti altri suoi compagni non mangiano quei piatti. Per due motivi. Non hanno il senso di quello che mangiano, nessuno abitua i piccoli ad assaggiare le cose. E questa non abitudine all’assaggio condiziona poi tutta la vita. Ma c’è un altro motivo.

Come può essere buono un pasto che costa un euro e mezzo?
I prodotti hanno un valore e se per azzerare i costi si azzerano quei valori, il risultato è pessimo».

Ma Expo in tutto questo cosa c’entra?
«Expo può essere la barriera per fermare una deriva preoccupante. Deve rilanciare l’amore per la terra e per i prodotti della nostra tradizione. Il momento è favorevole, c’è una grande voglia di sapere nella gente. Ma la gente va educata e l’Esposizione è un’occasione per far capire a chi comanda che questa deve essere una priorità. E torno alla scuola. Sono importantissimi i professori di italiano, di storia, di matematica, di latino. Però non esiste nessuno che insegni che cosa è il cibo, che cosa sono i sapori, come nasce un frutto, come cresce la verdura. E questo è un errore gravissimo. Ecco, io mi auguro che Expo apra gli occhi a chi comanda, ai politici che guidano il Paese. Faccio un altro esempio».

Prego.
«Torniamo all’alimentazione dei bambini. C’è chi demonizza le merendine: “Fanno male, non bisogna fargliele mangiare, diventano grassi”. Non è vero. Il problema non sono le merendine ma quante ne prendi e per quanti giorni. Una merendina, due a settimana non fanno male. Due al giorno sì. Abbiamo una fortuna, quella di un territorio in grado di produrre verdura, frutta, carne, pesce. Sfruttiamola. E spieghiamo ai genitori e ai bambini che cosa bisogna mangiare e come».

Il ritorno alla terra però costa. Si fa un gran parlare del km zero, dei prodotti di vicinato. Ma non tutti possono permettersi gli ortolani di qualità perché la qualità ha un prezzo. E si va nei supermercati.
«Ma la grande distribuzione va dove vuole la gente. E se tu insegni alla gente che cosa vale e che cosa no, i supermercati si adegueranno. E, guardate bene, anche qui è la politica che decide tutto. È stata la politica a guidare il sistema, a moltiplicare le produzioni. Si pensava: più produco, più posso vendere, più limito i costi. A lungo andare, non è stato così. A guadagnare sono stati in pochi, in compenso la qualità si è abbassata. È il momento di reinventarsi. E l’Expo dev’essere l’occasione. Il mondo sta cambiando e bisogna essere pronti».

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