Calcio e ciclismo visti da chi ha deciso di investire sulla maglia della Juve e su quella rosa del Giro. E se Balotelli fosse un suo dipendente…
C’era anche Alberto Balocco, amministratore delegato dell’omonima azienda di famiglia, alla presentazione del Giro d’Italia 2014. Presenza discreta, la sua, ma che non poteva passare inosservata: sì, perché – come già nel 2013 – sulla maglia rosa della prossima edizione ci sarà il nome della nota industria dolciaria piemontese.
Un abbinamento, quello tra la Balocco e il Giro, che nasce da lontano. Su un campo da calcio: “Dopo l’esperienza di marketing sportivo iniziato nel 2010 con la sponsorizzazione della Juventus poi campione d’Italia, ci è sembrata una buona idea dire sì alla maglia rosa del Giro. Il calcio e il ciclismo si completano in modo adeguato: sono entrambi molto trasversali e nazional-popolari, che come tali possono darci una mano ad allargare la notorietà del nostro marchio. E – stando ai numeri – anche il volume d’affari: prevediamo infatti 9,3 milioni di fatturato in più rispetto al 2012. Certo non si può dire che questo tipo di strategia di marketing non stia portando risultati positivi”.
A proposito di immagine: negli ultimi anni il ciclismo internazionale è stato fortemente condizionato dal doping. Non teme quindi anche possibili ripercussioni negative?
“Credo e spero di no. Mi pare che le misure prese abbiano dato una bella ripulita al mondo del ciclismo. C’è poi da aggiungere che gli organizzatori delle tre corse a tappe della stagione (Giro, Tour e Vuelta) hanno da tempo rivisto la tipologia di sforzo richiesto agli atleti. Lunedì scorso, Mauro Vegni, direttore del Giro d’Italia, nel corso della presentazione del Giro 2014, ha detto che ‘non sarà un Giro da supereroi’. Impegnativo, ma non impossibile. Perché i ciclisti non sono superuomini, ma uomini. Lo sport deve tornare ai suoi valori originari e scelte come queste aiutano il percorso”.
Anche il vostro slogan “Fate i buoni” pare andare in questa direzione…
“Il payoff è nato nel 2006 ed è ormai piuttosto consolidato. Nei nostri spot, il signor Balocco si raccomanda ai prodotti come se fossero suoi figli, dicendo per l’appunto ‘fate i buoni’. Quando si propone una pubblicità con questo tipo di promessa, tutto deve essere impostato in azienda su quella falsariga. Dal rapporto delle persone che lavorano con noi all’ambiente, dalle materie prime alle tecnologie, facciamo del nostro meglio per non perdere di vista il significato del nostro slogan”.
Un personaggio del mondo dello sport con il quale andrebbe volentieri a cena per una migliore conoscenza?
“Diciamo che ci sono già andato. Mi riferisco ai giocatori della Juventus: in più occasioni mi è capitato di sedere a tavola con alcuni di loro e mi sono sempre trovato molto bene. Si fa fatica a sceglierne uno su tutti. Marchisio, Chiellini, Quagliarella sono tutti calciatori di carattere e pulizia morale. Per quanto riguarda il ciclismo, ho avuto modo di conoscere Vincenzo Nibali: in qualche modo mi ricorda la nostra azienda. Perché è piccolino come la Balocco, che non è certo una multinazionale, ed è partito dalla gavetta. Sa stringere i denti, è semplice, è umile, è sempre disponibile con tutti. Nibali è un atleta che stimo moltissimo”.
Come giudica invece un giocatore alla Mario Balotelli?
“A mio parere, è un giovane da comprendere e da aiutare. Il calcio di oggi è malato di remunerazioni troppo importanti, che qualche volta creano anche strappi con la realtà. Per un ragazzo normale, avere uno stipendio in questo periodo è già una fortuna, e quando capita si parla di 1300-1400 euro al mese. Una cifra che qualsiasi giocatore di Serie A porta a casa in mezz’ora o poco più. Quando il denaro è facile e lo si ottiene in maniera più che abbondante rispetto alle necessità può provocare problemi non di poco conto. Il ruolo delle società sportive dovrebbe allora anche essere quello di trasformare degli atleti non solo in uomini ricchi e famosi, ma anche in persone che possano offrire un esempio positivo”.
Se Balotelli fosse un suo dipendente, come si comporterebbe?
“Ho imparato da mio padre che alle persone che lavorano con te bisogna dare sempre una chance in più rispetto a quelle che meritano, perché nel momento in cui sarai costretto a cacciarle avrai il coraggio di guardarle negli occhi. Con Balotelli farei lo stesso. Almeno finché non succede qualcosa di veramente grave… Ma parliamoci chiaro, Balotelli non ha mai ucciso nessuno: è una persona che stimo ed è un ragazzo di colore che rappresenta la nuova Italia, quella che i nostri ragazzini conoscono da qualche tempo già a scuola. Un personaggio come Balotelli ha un potenziale clamoroso anche nel promuovere l’integrazione: mi auguro che Mario cresca rapidamente e capisca che può essere un esempio per la nuova società italiana. Per me è un sogno: quando lo vedo con la maglia della Nazionale, mi si riempie il cuore di gioia”.
Da qualche giorno il mondo del calcio si sta interrogando sulla distinzione tra sfottò e insulto razziale. Lei da che parte sta?
“Da quello che posso vedere quando vado allo stadio, dove non si ha mai rispetto per l’avversario. E questo non è un problema di poco conto. A mio parere ci si limita ad affrontare di volta in volta tematiche diverse senza arrivare a sistemare una volta per tutte le storture del sistema. Mi permetto di fare una domanda: quando un giocatore si fa male e dagli spalti cantano ‘devi morire’, come dobbiamo interpretarlo, come uno sfottò? Non è la distinzione tra intolleranza razziale o regionale sulla quale dobbiamo interrogarci, ma sulla necessità di portare nel calcio più educazione. L’avversario è importante: io adoro avere qualcuno con cui competere, perché la competizione mi fa dare il meglio di me stesso”.
A proposito di competitor, Guido Barilla ha detto che il suo gruppo non farà mai pubblicità con omosessuali, “perché a noi piace la famiglia tradizionale”. Lei invece come la pensa?
“Sono molto triste per quanto è successo, perché conosco personalmente Guido Barilla e sono convinto che non meriti un tale linciaggio morale. La Barilla ha un ruolo importante nel nostro Paese, ha dato lavoro a moltissimi italiani, va rispettata. Detto questo, non credo che si possa risolvere in due parole un tema così delicato. I fatti dicono che la famiglia tradizionale, purtroppo o per fortuna, non esiste più. Colpa anche della crisi economica che stiamo attraversando. Io non distinguo le persone tra maschi e femmine, eterosessuali e omosessuali. Per me le persone sono persone. Se accetterei mai un omosessuale in una nostra pubblicità? Sarebbe troppo facile rispondere di sì. Per il momento, mi limito a dire che siamo contenti del signor Balocco (ndr, l’attore teatrale Cosimo Cinieri) e credo che continueremo ancora a lungo a usare la sua immagine nei nostri spot”.
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